La mise en abyme: il “re nascosto” nella cinematografia, dal modello classico al cinema moderno.

Nel 1965 Roman Polanski giustificava mediante la seguente affermazione l’idea che aveva dato origine a Repulsione, film chiave del regista ed una delle opere più rilevanti della modernità cinematografica europea: “Quasi tutti hanno sperimentato, in un determinato momento, il terrore irrazionale causato da qualche sinistra presenza invisibile nella propria casa”. Verace e contraddittorio al tempo stesso, Polanski identificava “l’irrazionale” come causa, trasformando la mancanza di senso in significato ultimo della sua opera. Al tempo stesso offriva una definizione di “sinistro” come “presenza invisibile” e punto di congiunzione tra due categorie teoricamente escludenti l’una per l’altra; presenza che essendo invisibile diviene assenza, o invisibilità che per la propria presenza si palesa allo sguardo. Tale contorta e contraddittoria formula del regista polacco tuttavia assume coerenza grazie alla messa in scena di un personaggio come Carole (Catherine Deneuve), la cui avversione nei confronti degli uomini viene trattata come qualcosa di inspiegabile e carente di qualsiasi logica. Proprio quando lo spettatore assume coscienza di essere privato dell’elemento causale capace di dare senso alla trama ed alla repulsione della sua protagonista, è il momento in cui Polanski presenta l’immagine di questa “sinistra presenza invisibile” che si concretizza attraverso una seconda immagine: una fotografia, che giunge a riempire il vuoto della narrazione e serve come unico punto di ancoraggio ad una suspence immotivata.


La foto, immagine dentro l’immagine, acquisisce la contraddittoria funzione di contenitore del nucleo della narrazione essendo immagine-vuota al tempo stesso. L’uso della doppia immagine offre una riflessione sul ruolo di queste “seconde inquadrature” inscritte all’interno dello schermo cinematografico che per la sua natura di “cornice” genera separando, integrando e duplicando al tempo stesso lo spazio e il tempo di una stessa rappresentazione.
Nel passaggio dal classicismo alla modernità cinematografica, “la cornice” esercita una funzione sempre più dissociativa e meno mediatrice; allontanandosi dal modello classico emerge, ogni volta con maggior evidenza, la discordanza tra ciò che la cornice contiene e la realtà che essa lascia fuori.
Potremmo utilizzare il concetto di “re nascosto” simmeliano per descrivere la funzione che l’immagine en abyme (immagine dentro l’immagine) riveste proprio nel passaggio dal cinema classico al cinema della modernità.
Proprio come l’idea di Dio nella visione del mondo medievale è stato il centro di rotazione intorno al quale le istituzioni si sono disposte, organizzate e differenziate, pur andando incontro naturalmente a “deviazioni, travisamenti, opposizioni” l’immagine del cinema classico, “centro segreto che regge e innesca il dispositivo narrativo”, è figurazione visibile dello sguardo dello spettatore, immagine che opera nello spazio in cui si condensa la narrazione al fine di mostrare “il principio capitale della propria linarità causale”. Nel cinema moderno si converte in un’immagine capace di iscrivere l’esperienza dello spettatore in un’inedita prospettiva di senso, quella appunto, della modernità. L’immagine della modernità cinematografica, congela, condensa, distrugge ed apre il significato dell’opera rendendo infinita la sua lettura.
Il cinema di registi della modernità come Roman Polanski o David Lynch, manifesta un’autoconscienza della rappresentazione, invertendo e lasciando in sospeso l’immagine del proprio riferimento classico. È la capacità immaginativa insita in ciascuno spettatore che permette di delineare nuovi mondi di senso, mai totalmente coincidenti con quello istituito da un immaginario dominante.
Ciò che l’immagine “in sospeso” mette in scena è un confronto con il nostro proprio desiderio, che è una proiezione del desiderio di vedere, di conoscere, di abitare e comprendere il fine ultimo dell’immagine.
La dualità contraddittoria dell’immagine come entità causale, contenitrice di significato e allo stesso tempo immagine senza senso, si deve alla sua natura doppia: (1) essere immagine en abyme – che nella sua forma classica si mostra appieno nel proprio significato, ma la cui costruzione moderna si presenta come immagine dal significato costantemente rimandato – e (2) per il fatto di essere immagine sospesa e statica all’interno di una sequenzialità in movimento – immagine in eterno processo di creazione, che reclama l’apparizione di un’immagine successiva che la renda leggibile. Se dunque il piano classico troverebbe il proprio significato nel guardare verso l’esterno e verso il piano che lo contiene, il suo esempio moderno al guardare verso l’interno e verso se stesso, impedisce la chiusura del proprio significato.

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